DIRITTO POSITIVO e FEDE
(Michele Angelucci)
Il diritto prende forma dalla legge, e nasce dalla guerra, dal contenzioso fra due soggetti, fra due gruppi per riportare la pace e la giustizia.
Due correnti di pensiero:
- Giusnaturalismo: Il diritto deve richiamarsi alla giustizia (ius quia iustum) in quanto esiste la cosa giusta in sé.
- Giuspositivismo : è giusto ciò che la legge ordina (ius quia iussum) il diritto è conseguente di un comando, di un arbitrio, di un atto di forza.
Diritto e…basta! Ma è giusto? E fino a dove si può spingere il diritto? Fino a quando non intacca le libertà individuali di ognuno di noi. Ma queste libertà, nel tempo, si modificano: nascono, cambiano, e possono anche finire. E quindi anche il diritto ha una sua vita, ha delle applicazioni che nel tempo vengono modificate.
Pace e giustizia, per l’essere umano, può essere soddisfatto dal diritto e basta?
Il diritto come “pretesa” per proteggere alcuni nostri interessi di ordine civile, morale, religioso: nasce dunque la comparazione tra diritto e fede.
Armonizzare le pretese individuali e/o collettive del diritto con altri valori: che potranno dare più forza, più sostanza, più stabilità, più completezza alla giusta pretesa del diritto di raggiungere, di assicurare pace e giustizia.
Se il fine ultimo del diritto è ripristinare la giustizia, raggiungere la pace, la rivendicazione “il diritto, e basta! Basta? Oppure dobbiamo piuttosto completare, supportare il diritto con altri valori, come la fede, per i cristiani?
DIRITTO=credere in qualcosa (nella legge).
FEDE=credere in qualcuno, nella promessa “chi crede in me, avrà la vita eterna”, perciò l’asse portante della fede è la Resurrezione.
Cristo, nel processo contro di lui, non si avvale del suo diritto (cioè in qualcosa) a difendersi dalle accuse, ma ha creduto nel Padre (cioè in qualcuno), facendo sì che si avverassero le profezie e le promesse delle Sacre Scritture e raggiungere così lo scopo di salvare l’umanità!
La giustizia passa attraverso l’iniquità dell’uomo, attraverso il tempo, e dunque si evolve, si adegua ai tempi; e di conseguenza il diritto che intende assicurare la giustizia deve fare la stessa cosa: evolversi, adeguarsi, aggiornarsi!
Contrapporre fede e diritto può dare l'impressione, può dare l’idea di inconciliabilità: l'una, espressione della corda più intima dell'animo umano, dello slancio emotivo e irrazionale; l'altra frutto della riflessione, della gelida ed impersonale elaborazione tecnica. L'idea quindi dì due aspetti della vita umana del tutto autonomi e distinti fra loro e destinati ad evolversi senza alcun contatto: estranei l'uno all'altro.
E questo sembra confermarlo l'articolo del nuovo Concordato: «La Repubblica Italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.»
Ma questa prima impressione è errata perché, alla prova dei fatti, queste due realtà sono continuamente interdipendenti fra loro, sono continuamente in reciproco contatto, quotidianamente sottoposte ad un confronto a volte armonioso, a volte lacerante, ma sempre vitale, sempre indispensabile.
Dunque non indifferenza, non assoluta separazione, ma giusto rapporto! Ribadito da Giovanni Paolo Il nel discorso all'Unione giuristi cattolici (1982), che ebbe a sottolineare la necessità di valorizzare ogni forza che miri consapevolmente «all'attuazione dell'etica cristiana nella scienza giuridica, nell'attività legislativa, giudiziaria, amministrativa, in tutta la vita pubblica».
L’embrione del diritto lo troviamo nella dettatura dei dieci comandamenti, ed hanno prevalentemente la veste di un comando o di un divieto («tu farai... tu non farai»). Le più antiche norme bibliche e lo stesso decalogo sono infatti sforniti di ogni sanzione, ad ogni modo “il diritto biblico si presenta come un sistema rigorosamente etico, tendente non solo e non tanto a realizzare un ordine nella comunità politica terrena, bensì a consentire ed agevolare la perfezione morale dei singoli”.
«I poveri, le vedove e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono protette contro i maltrattamenti del marito. In favore dei lavoratori viene alzato il salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali» (Codice di Hammurabi). Ricordiamo che il codice di Hammurabi e l’inizio della narrazione dell’Antico Testamento si collocano, come arco temporale, all’incirca nello stesso periodo: 1800-2000 a.C.
Immenso è il valore del diritto biblico nel patrimonio della cultura umana e di quella giuridica in ispecie: ogni messaggio giuridico che non sia strettamente legato a costumi e necessità storicizzati ha nel diritto biblico l'impronta di segno premonitore.
Senso del divino tradotto in norme di comportamento, fondamento della persona umana:
- esaltazione della solidarietà,
- grande sensibilità per la carità verso il prossimo specialmente se più debole,
- soppressione di ogni atteggiamento di violenza che non sia difensiva o punitiva,
- forte ambizione per la purezza dei costumi,
- senso fortissimo dell'uguaglianza giuridica e morale dei membri del popolo (di Israele).
Sono tutti segni anticipatori di circa tremila anni dei moderni riconosciuti e riscoperti valori giuridici: sono tutti connotati altamente caratterizzanti nei confronti dell’unità dei popoli, nel senso di una altissima civiltà morale.
Compito del magistrato non è solo quello di dare meccanica attuazione al comando astratto di legge nei singoli casi, ma è anche quello molto più arduo “di dare alla legge un’anima, tenendo sempre presente che la legge è un mezzo e non un fine”; verità che si ritrova nelle parole che Gesù, “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.
Ma soprattutto il magistrato, deve andare oltre la Legge per dare una risposta ultima ad ogni dubbio e una soluzione ad ogni male. E come? Deve ravvisare la necessità del “superamento della giustizia attraverso la carità”, come principio universale che si impone non solo al magistrato nell’atto del decidere, ma in generale a tutti gli uomini, perché in definitiva Dio non è Legge, ma Amore.
E’ questa nella sostanza la vera novità del messaggio cristiano, l’elemento che segna il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla schiavitù della Legge alla libertà dei figli di Dio.