Mecenate gli donò nel 33 a.C. un piccolo possedimento in Sabina, le cui rovine sono ancor oggi visitabili nei pressi di Licenza (RM), cosa molto gradita al poeta che, in perfetta osservanza del modus vivendi predicato da Epicuro, non amava la vita cittadina. Con la sua poesia fece spesso azioni di propaganda per l’imperatore Augusto, anche se, a dire il vero, in questo periodo Ottaviano lasciò una maggiore libertà compositiva ai suoi poeti (tendenza che sarebbe però stata invertita dopo la scomparsa di Mecenate: lo testimonia la vicenda biografica di Ovidio). Esempi di propaganda augustea sono, ad ogni modo, alcune Odi e il Carmen saeculare, composto nel 17 a.C. in occasione della ricorrenza dei Ludi Saeculares.
Morì nel novembre dell'8 a.C. all'età di 57 anni e fu sepolto sul colle Esquilino, accanto al suo amico Mecenate, morto solo due mesi prima.
L'epicureismo è una delle scuole di pensiero che si fa domande sull'uomo e sul suo comportamento, in fondo cerca una risposta ai mali e ai dolori del mondo, che non devono offuscare la gioia di vivere: la morte è quindi vista come una serena liberazione dalla vita, densa di dolori, ma soprattutto come una certezza che l'uomo forte e saggio deve saper affrontare. In questo periodo sorgono nelle città romane diversi circoli epicurei, dove forse Orazio conobbe Virgilio e Vario, che forse lo introdussero a Mecenate. Anche Lucrezio riconosce la verità della natura e le illusioni delle religioni, per lui basta guardare la natura e osservare la scienza per riconoscere la verità.
Orazio aderisce parzialmente all’epicureismo, alla ricerca di risposte sui grandi temi esistenziali, risposte che di fatto non troverà mai: il poeta sembra infatti non essere mai sfuggito all’angoscia della morte, percepita sempre come imminente. La rappresentazione dell’aldilà oraziano è comunque di forte stampo epicureo, e viene suggellata nel modo migliore nell’affermazione, non priva di una nota malinconica, espressa nell’Ode 7 del Libro IV (v. 16): "Pulvis et umbra sumus".
In questa affermazione Orazio riesce ad esprimere non solo il suo punto di vista sulla morte, ma anche l’angoscia che lo investe in vita, proprio in funzione del prossimo e certo annullamento dell’esperienza terrena. Inutile e vana è la religione, incapace di dare spiegazioni sufficienti riguardo alla vita dopo la morte, il fervore religioso (pietas) non potrà salvare l’uomo dalla sua naturale condizione di mortale.
Orazio appare a tratti molto pessimista: la morte è sempre in agguato e la vita potrebbe finire in ogni momento; è meglio, quindi, non riporre le proprie speranze nel domani. Questa idea di brevità della vita è un ulteriore invito a godersi la vita il più possibile, concetto che ritroviamo in numerosi versi, come nell’Ode 11 del libro I:
« ...Dum loquimur fugerit invida
Aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.»
Il tempo è in una fuga perpetua, che non lascia adito a speranze future: occorre sfruttare al massimo il tempo che ci è concesso, e considerare ogni momento che ci è dato come un dono.
Opere
Orazio è considerato dal classicismo uno dei più importanti poeti latini, citato addirittura nell'Inferno di Dante nel Limbo. Molte delle sue frasi sono diventate modi di dire ancora in uso:
carpe diem,- nunc est bibendum - aurea mediocritas, - Odi profanum vulgus, et arceo.
- Epodi (Epodon libri o Iambi, come li definisce l'autore), 17 componimenti, pubblicati nel 30 a.C.
- Satire (Saturae o Sermones, come le definisce l'autore), in due libri che comprendono 18 satire, scritte tra il 41 e il 30 a.C.: il I libro (10 satire) fu dedicato a Mecenate e pubblicato tra il 35 e il 33 a.C., mentre il II libro (8 satire) fu pubblicato nel 30 a.C. insieme agli Epodi.
- Odi (Carmina, come li definisce l'autore), in tre libri con 88 componimenti, pubblicati nel 23 a.C. Un quarto libro con altri 15 componimenti venne pubblicato intorno al 13 a.C.
- Epistole, in due libri. Il I libro comprende 20 lettere composte a partire dal 23 e pubblicate nel 20 a.C., con dedica a Mecenate, mentre il II libro, con tre lettere, scritto tra il 19 e il 13 a.C., comprende l'epistola ai Pisoni, o Ars Poetica in 476 esametri, che fu presa a canone per la composizione poetica nelle epoche successive.
- Carme secolare (Carmen saeculare), del 17 a.C., scritto per incarico di Augusto e destinato alla cerimonia conclusiva dei ludi saeculares.
Quinto Orazio Flacco
(Venosa 8/12/ 65-Roma, 27/11/ 8)
Considerato uno dei maggiori poeti dell'età antica, nonché maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale ironia, seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell'ars vivendi.
«Dum loquimur fugerit invida .............................. .Mentre stiamo parlando il tempo invidioso sarà già fuggito.
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.» ...Cogli l'attimo, confidando il meno possibile nel domani.
Orazio nacque a Venosa, colonia romana fondata in posizione strategica tra Apulia e Lucania, nell'attuale Basilicata, figlio di un fattore liberto che si trasferì poi a Roma per fare l'esattore delle aste pubbliche (coactor), compito poco stimato ma redditizio. Il poeta era dunque di umili origini, ma di buona condizione economica. Orazio seguì perciò un regolare corso di studi a Roma, sotto l'insegnamento del grammatico Orbilio e poi ad Atene, all'età di circa vent'anni, dove studiò greco e filosofia presso Cratippo di Pergamo. Qui entrò in contatto con la lezione epicurea ma, sebbene se ne sentisse particolarmente attratto, decise di non aderire alla scuola. Sarà all'interno dell'ambiente romano che Orazio aderirà alla corrente, la quale gli permise di trovare un rifugio nell'otium contemplativo. Il poeta espresse la sua gratitudine verso il padre in un tributo nelle Satire.
Quando scoppiò la guerra civile Orazio si arruolò, dopo la morte di Cesare, nell'esercito di Bruto, nel quale il poeta incarnò il proprio ideale di libertà in antitesi alla tirannide imperante e combatté come tribuno militare nella battaglia di Filippi (42 a.C.), persa dai sostenitori di Bruto e vinta da Ottaviano. Nel 41 a.C. tornò in Italia grazie a un'amnistia e, appresa la notizia della confisca del podere paterno, si mantenne divenendo segretario di un questore (scriba quaestorius), in questo periodo cominciò a scrivere versi, che iniziarono a dargli una certa fama. Nel 38 a.C. venne presentato a Mecenate da Virgilio e Vario, probabilmente incontrati nel contesto delle scuole epicuree di Sirone, presso Napoli ed Ercolano. Dopo nove mesi Mecenate lo ammise nel suo circolo.
Da allora Orazio si dedicò interamente alla letteratura, non si sposò mai e non ebbe figli. Già in questo periodo Orazio risulta debole di occhi, avendo contratto una congiuntivite.