“Taglia le radici ad una pianta, e questa morirà. Così come la forza, la ragion d’essere, l’orgoglio di un popolo proviene dalle sue radici: tagliatele ed esso non avrà più futuro.”
E fra le sue radici c’è anche quella del modo di comunicare, di presentarsi, di farsi conoscere dagli altri, quindi volgare rappresenta, identifica un popolo, un gruppo sociale, e non prefigura nelle sue origini un’accentuazione limitativa e spregiativa.
Questa subentra in un secondo momento, quando un gruppo sociale, una classe predominante (aristocrazia, borghesia, ecc.) si contrappone all’altra più numerosa, ma più anonima e meno rilevante nei riguardi della vita economica e politica, e lo qualifica con il termine di volgare inteso come massa anonima.
A questo punto dobbiamo introdurre, presentare, l’altra parola, cafone, per riformare la coppia: eh sì, perché le due parole viaggiano quasi sempre insieme: si da per scontato che cafone non può che essere volgare, appartenente cioè al volgo!
Per capire meglio di cosa vogliamo parlare, è illuminante leggere una pagina di Fontamara del nostro conterraneo Silone.
Classi sociali (da Fontamara):
CAFONI:
«In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo.
Questo ognuno lo sa.
Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra.
Poi vengono le guardie del principe.
Poi vengono i cani delle guardie del principe.
Poi, nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi, ancora nulla.
Poi vengono i cafoni.
E si può dire ch'è finito.»
I servi della gleba (i precursori dei cafoni durante il Medioevo) venivano chiamati così perché non potevano abbandonare le terre in cui lavoravano a causa dell’estrema povertà.
Essi potevano essere venduti insieme alla terra che lavoravano, dovevano consegnare al feudatario buona parte del raccolto; erano obbligati a lavorare per il signore, senza alcun compenso, per un certo periodo dell’anno; non potevano sposarsi o cambiare mestiere senza il permesso del signore; erano costretti ad usare il mulino, il forno, il frantoio del signore, ma dovevano pagargli ogni volta una tassa.
Nell’età feudale, gli schiavi sono sostituiti dai servi della gleba. Essi erano costretti a vivere in misere capanne di fango, pietre e paglia, a lavorare senza sosta.
Praticamente chi ci fornisce il sostentamento è sempre quello che nella scala sociale sta alla fine, in fondo, che lavora la terra, la zolla, il servo della gleba, il cafone (diventato bracciante, poi contadino, e infine coltivatore diretto). Ed erano la gran parte delle persone, la massa, il popolo e dunque il volgo, e da qui volgare inteso come qualcosa che ha a che fare con il popolo, con gli ultimi della terra.
Ma volgare è qualcosa di forte, di intenso, di profondo: proprio del volgo, della massa, degli ultimi, un modo quindi di rappresentare, di parlare dei cafoni.
Volgare: questa parola nasce in tempi remoti per discriminare alta e bassa società. Il vulgus era la massa povera e illetterata, che portava con sé tutta una serie di connotati ulteriori, come i modi rozzi, lo scarso discernimento, l'assenza di attività e gusto intellettuale, la lingua scarna e storpia.
Il volgare è da intendersi come ciò che è proprio di un'umanità.
- Così un'ironia volgare non è quella che usa parole esplicite, ma quella che punta il dito su qualcuno e ne ride, ignara di calpestare una dignità;
- un abbigliamento volgare non è l'abito liso del cafone, ma la pelliccia corta che si indossa per andare a lezione;
- e la lingua di Dante perché si chiama volgare? Se non perché intende rivolgersi a tutti, al popolo nella sua completezza (e non soltanto agli eruditi, a chi aveva studiato, a chi aveva una cultura: in questo caso avrebbe scritto in latino!).
Volgo come base, fondo di qualsiasi società: poi gerarchicamente salendo sono state create delle strutture per “amministrare” il volgo, il popolo, per “imporsi” sul volgo……
Il potere, la responsabilità del primo cittadino, di chi sta in cima a tutti, è derivato dal “volgo” , dal popolo: più grande, numericamente, è il “volgo”, maggiore è l’importanza del “capo”, di chi comanda.
Il più maltrattato ed anche il più importante: perché se c’era da far sapere al popolo che il re decideva qualcosa che riguardava il popolo cosa faceva? Promulgava (cioè decideva di fare una legge) e poi divulgava cioè ‘diceva al volgo’ ‘faceva sapere al volgo’ ed era dunque un rapporto dall’alto verso il basso.
Perché con il tempo la parola volgare ha cominciato a prendere un significato negativo?
Il VOLGO aveva una sua cultura?
Il volgo ha un unico, grande problema: non ha la trascrizione, e quindi la storia, gli avvenimenti, viene tramandata di voce in voce, non c’è un ‘documento’ sul quale basare i propri diritti, le proprie rivendicazioni; e questo anche come conseguenza dello status di servi della gleba: dovevano rimanere tali per sempre, generazioni e generazioni; non c’era possibilità di riscatto, se non eccezionalmente il feudatario concedeva qualche grazia per cui a qualcuno era concesso di allontanarsi o di fare qualche altra cosa!
E dunque c’era una cultura orale!
Dopo 2000 anni cosa è rimasto del vulgus, del volgare? Solamente l’idea spregiativa dei cafoni?
All’inizio delle mie esibizioni, quando mi etichettavano che ero volgare, me la prendevo, poi con il tempo ho capito che invece ero poco volgare, che avrei dovuto essere più vicino al popolo, alle sue tradizioni.
Ho fatto delle ricerche, e mi sono reso conto che avrei dovuto solo saper rappresentare il volgare, il volgo, il cafone! Ed ho trovato in Silone un alter ego (fatte le debite differenze e proporzioni!) cui potevo e dovevo ispirarmi: infatti in Fontamara c’era tutto ciò che poteva servire a ‘Nduccio, (e questo 50-60 anni prima di ‘Nduccio, a livello divulgativo).
Una volta chiarito il significato di volgare, di cafone, di agricolo, intesa appunto come la quotidianetà della gran parte delle persone, allora ho capito che portarla alla ribalta, farla conoscere, rappresentarla, anche se “a modo mio”, è un gran bel lavoro! Dare voce ad una categoria villepesa, dimenticata, calpestata: e a questo punto è per me un onore!
Per concludere, possiamo dire che il volgare ha le sue origini nel tempo, da una contaminazione del latino con i popoli via via assoggettati nell’impero romano: il latino “originale” rimaneva quello della classe aristocratica, ma nel resto dell’impero la lingua parlata era un latino annacquato, popolare, appunto volgare, ed anche molto più immediato, semplice, senza fronzoli: ancora oggi, in varie parti del fu impero romano, possiamo riscontrare parole, espressioni linguistiche simili.
LE RADICI del VOLGARE (’Nduccio)
Dio, padrone del cielo (e quindi ci interesserà quando andremo...in cielo);
Torlonia padrone della terra: e quindi con tutto ciò che c’è sulla terra, uomini, bestie e cose. E dunque chi sta sulla terra deve fare i conti con Torlonia secondo le sue leggi!
Le guardie del principe che faranno osservare le sue leggi;
Poi i cani delle guardie del principe: cani che servivano per tenere a bada o per riacciuffare i cafoni ”delinquenti”;
E poi…nulla-nulla-nulla: 3 nulli!
Ed ecco … i cafoni: dopo 3 nulli, cosa potevano valere i cafoni? Appunto, meno di niente!