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paesaggio, ecc.) con la quale stimolare un ricordo e riprovare le sensazioni prodotte da quell’immagine: nella Grotta delle Mani in Patagonia (9.300-13.000 anni fa) ciò appare particolarmente evidente.

Si suppone addirittura che l’uomo primitivo poté osservare il fenomeno ottico della luce che, passando attraverso un piccolo foro sulle pelli che coprivano l’entrata della sua caverna, restituiva sul fondo della parete l’immagine al di fuori della caverna stessa. È questa una spiegazione della figura del cavallo rovesciato sita nel Diverticolo assiale, considerato “la Cappella Sistina della preistoria”, nelle grotte di Lascaux in Francia (17.500 anni fa).

Ma torniamo al vero fondamento della fotografia, la camera oscura:  termine coniato da Giovanni Keplero. Passando attraverso un piccolo foro, i raggi luminosi provenienti da oggetti esterni illuminati si incrociano e proiettano sulla parete opposta l’immagine rovesciata e invertita degli oggetti stessi. L’immagine appare tanto più nitida quanto più piccolo è il foro, ma ciò la rende sempre meno luminosa. La camera oscura, quindi e fino ad ora, come strumento per osservare il mondo e, soprattutto, per studiare il comportamento della luce.

Leonardo da Vinci utilizza il principio della camera oscura per spiegare fenomeni ottici di base, come l’inversione da destra a sinistra delle immagini del campo visivo (è poi il cervello che le raddrizza).

La camera oscura subì delle importanti modifiche finalizzate a migliorare l’immagine che veniva proiettata attraverso il foro: nel 1550 il matematico, medico e astrologo italiano Girolamo  Cardano introdusse una lente convessa per concentrare la luce e aumentare la luminosità; nel 1568 Daniele Barbaro aggiunse un diaframma per ridurre le aberrazioni.

Nel 1685  l’inventore tedesco Johann Zahn, basandosi su un precedente progetto del fisico tedesco Johann Christoph  Sturm,  creò la prima camera oscura reflex, ovvero una  camera al cui  interno uno specchio posto  a 45° permetteva di raddrizzare  l’immagine proveniente dall’obiettivo e la proiettava  dritta sul vetro smerigliato, sul quale i pittori potevano appoggiare il loro foglio per riprodurre i paesaggi ripresi.

La prima fotografia,  datata 1826/1827, è stata realizzata da Joseph Nicéphore Niépce: ripresa di un paesaggio (Veduta dalla finestra ...) che impressionò una lastra dopo un’esposizione di otto ore.

Agosto 1835: primo negativo, realizzato da William Henry Fox Talbot.

1838, il francese Louis Mandé Daguerre fotografa il Boulevard du Temple e la prima immagine umana: un gentiluomo fermo dal lustrascarpe: la fotografia è pronta a fare il suo ingresso ufficiale nella storia del mondo!

 

 

  • 1839: Nascita della fotografia  e cammino verso la fotografia di massa

 

12 marzo 1839, in Italia il dagherrotipo viene ufficialmente presentato: il fisico Macedonio Melloni tiene una relazione su di esso all’Accademia delle Scienze di Napoli.

Ora, il metodo per scrivere con la luce (fotografare) è di pubblico dominio, ma occorre la penna, ovvero la macchina fotografica.

A soli tre giorni dal decreto statale Alphone Giroux, cognato di Daguerre, inizia a vendere i primi apparecchi fotografici: la dagherrotipia era composta da due scatole di legno che scorrono una dentro l’altra per consentire la messa a fuoco, una fessura per la lastra di rame sul retro e frontalmente un obiettivo fisso, in vetro e ottone.

Vengono sensibilmente migliorati i materiali sensibili alla luce.

Sono questi gli anni anche dei primi reportage di guerra. Il primo riconosciuto dalla storia è quello del 1849, ad opera del “pittore-fotografo” Stefano Lecchi, riprendendo i luoghi che, a Roma, furono teatro degli scontri tra Francesi, forze papaline e sostenitori della Repubblica: siamo di fronte alle prime fotografie in assoluto di un evento bellico, testimonianti degli avvenimenti di cronaca.

Nel 1853 Roger Fenton (1829-1869), considerato come il primo reporter di guerra della storia, racconta la Guerra di Crimea (1853-1856).

Nel 1858 il fotografo ed aeronauta francese Gaspard-Félix Tournachon, in arte Nadar (1820-1910), realizza le prime fotografie aeree della storia, immortalando Parigi da un pallone aerostatico.

Nel 1861, poi, arriva la fotografia a colori, grazie al matematico e fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879), che spiegò che la sovrapposizione dei filtri rosso, verde e blu (RGB) restituivano una immagine a colori.

È l’alba della pellicola fotografica come la intendiamo oggi (ieri).

Nel 1869 l’ottico e imprenditore tedesco Ernst Leitz rileva la Optisches Institut di Carl Kellner, e le cambia il nome in Leica.

E’ il momento della fotografia in movimento: 1878, il fotografo inglese Eadweard Muybridge, fotografa con successo un cavallo in corsa utilizzando 24 apparecchi fotografici.

A livello industriale vengono fondate alcune delle realtà destinate a dominare il mercato fotografico delle pellicole: la giapponese Konica, nel 1873; la inglese Ilford, nel 1879; l’Agfa,  nel 1867 presso Berlino e, più tardi, la Kodak di George Eastman.

La fotografia, ormai, è pronta a diventare di tutti.

 

 

 

  • 1890-1980: Grande sviluppo del mercato fotografico

 

La fotografia, che non ha ancora 50 anni, si prepara alla sua prima, fondamentale, determinante svolta:  protagonista assoluto l’imprenditore George Eastman (1854-1932) fondatore della Kodak.

Il celebre slogan “You press the button, we do the rest” (“Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto”) prometteva una semplificazione fino allora insperata per il grande pubblico.

Inoltre nel 1895 il mondo dell’immagine viene “travolto” da un’altra rivoluzione: il Cinematografo dei fratelli Lumière,  ma volto, oltre che a registrare le immagini, anche a proiettarle: nasce il cinema.

Nel 1907 i fratelli Lumière presentano l’Autochrome, ovvero un procedimento di fotografia a colori basato sulla sintesi additiva e destinato a rivoluzionare il campo della fotografia a colori che divenne ben presto, nonostante l’iniziale costo e complicazione del procedimento, molto popolare.

È il 1913 e inizia l’era del 35mm fotografico. E’ un momento di grande fermento imprenditoriale: nascono uno dopo l’altro la Nippon Kogaku K.K. (1917); la Olympus (1918) e la Pentax (1919); in Italia la Film (1920), che diventerà la Ferrania; in Germania la Rollei (1920).

Nel 1924 inizia la produzione della Leica I, ad essa risponde, nel 1932, la Zeiss che darà l’inizio alla grande rivalità Zeiss-Leica. Anche la giapponese Minolta, fondata nel 1928, entra in campo con le sue prime fotocamere per pellicola a rullo.

In questi anni, il mondo della fotografia continua la sua corsa verso nuove tappe:  nel 1936, viene presentata la Kine-Exakta; nel 1937 a Milano, la Icaf, che diventerà la Bencini; la Jaeger LeCoultre produce la Compass; la Ducati crea nel 1938 una microfotocamera; nel 1938 la Kodak lancia la Super Six-20; in Giappone continuano a svilupparsi i marchi destinati a diventare i principali punti di riferimento dell’industria fotografica: Canon, Konica, Minolta, Nikon, Olympus e Pentax.

1947:  Robert Capa fonda, insieme a Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, l’agenzia fotografica Magnum Photo, allo scopo di proteggere il diritto d’autore e la trasparenza d’informazione.

1948: Victor Hasselblad (1906-1978) presenta  la sua Hasselblad 1600F, che per decenni verrà considerato tra i migliori sistemi fotografici al mondo e, per questo, scelta da molti fotografi professionisti.

Nel 1949, poi arriva sul mercato la Contax S, della Carl Zeiss che diventa la prima reflex ad ampia produzione ad adottare quello che diverrà lo standard universale.

Il mercato fotografico vede dunque diversi protagonisti, divisi tra Occidente ed Oriente.

In Italia c’erano i presupposti per una importante storia di produzione fotografica: Bencini, San Giorgio, Ducati e tanti altri produttori, purtroppo svaniti nel nulla.

A tenere alta la bandiera europea, fino agli anni 70, ci pensava la Germania: Zeiss, Leitz, Rollei, Exakta ed Agfa.  Il Giappone con la Nikon F decretò il boom delle reflex e il sorpasso del Paese del Sol Levante rispetto alla Germania.

Nel 1959  viene presentata la Nikon F, la reflex professionale per eccellenza: è stato il primo strumento davvero adatto a tutte le situazioni di scatto,  costava meno e disponeva di più ottiche e accessori; inoltre, i reporter americani avevano conosciuto e apprezzato le Nikon durante la guerra di Corea.

Insomma, Nikon F era destinata a scrivere un importante capitolo della storia della fotografia. Divenne una leggenda e a ciò contribuì anche il film Blow Up (1966) di Michelangelo Antonioni, che la decretò definitivamente come “la” macchina fotografica professionale.

Nel 1960 la Nippon Kogaku acquisisce dalla francese Spirotechnique il brevetto della Calypso (Calypsoshot ) - la prima autentica fotocamera anfibia del mondo - e per decenni unico sinonimo al mondo di “fotografia subacquea”.

Come si nota, quasi tutti i produttori giapponesi introdussero fotocamere in grado di gestire automaticamente i tempi di scatto e del diaframma, al fine di offrire anche ai meno esperti l’elevata qualità tecnica ed ottica raggiunta. Iniziava l’era delle “35mm automatiche”, e tutta  targata Giappone.

La Fairchild Camera and Instrument, fu la prima a commercializzare i CCD: è l’alba della fotografia digitale.

Intanto, Sony (fondata in Giappone nel 1946) lanciava sul mercato il Betamax, il primo videoregistratore domestico.

L’anno successivo Nikon presenta la sua F3, la prima reflex 35mm della casa giapponese a fare largo uso dell’elettronica: disegnata da Giorgietto Giugiaro rimase in produzione per 20 anni (1980-2000): un trionfo.

 

 

  • 1980/giorni nostri  -  Autofocus e digitale: l’era fotografica moderna

 

Nel 1981 il fondatore della Sony Akio Morita  presenta la Mavica (Magnetic Video Camera), una reflex che utilizzava un floppy come supporto di memorizzazione principale: per la prima volta  le immagini venivano registrate su un supporto digitale mobile invece che su una normale pellicola.  

Iniziava  un nuovo capitolo della storia della fotografia, quello dell’immagine elettronica.

Naturalmente, nonostante il periodo non particolarmente roseo, la corsa all’innovazione

tecnologica continua: nel 1984 la società giapponese Toshiba inventa la scheda flash memory (sarà il rullino del futuro) e nel 1985 la Minolta presenta la 7000, la reflex autofocus che risveglierà il mercato; anche la Nikon F501 (1986), la Canon EOS 650 e la Pentax SFX (1987) presenteranno innovazioni.

La Adobe Systems Incorporated, fondata nel 1982, presenta Photoshop, il primo software professionale per la gestione dell’immagine, destinato a scrivere un altro importante capitolo della storia della fotografia.

Kodak, poi, si alleerà con Canon per la realizzazione di una reflex digitale (1994) e la stessa cosa  faranno Nikon e Fuji: da questa intesa nascerà la Nikon E2; la giapponese Casio metteva in vendita la prima fotocamera compatta digitale con display LCD.

La corsa al digitale ormai era partita e il mondo (fotografico e non) stava diventando digitale ad una velocità impressionante, sia per i produttori che per i consumatori finali.

Nel 2000, le fotocamere digitali vendute erano 10 milioni. Nel 2010 oltre 140 milioni.

In questo periodo aziende storiche produttrici di pellicole crollano, i produttori giapponesi ormai sono padroni del mercato e si fronteggiano a colpi di innovazione tecnologica.

Nel 2005, poi, Olympus e Panasonic si alleeranno per sviluppare il formato Quattro Terzi e Nikon proporrà la prima compatta digitale capace di trasmettere via wi-fi le foto realizzate.

La sfrenata corsa al pixel, alla caratteristica tecnologica più avanzata, alla fruizione alternativa del prodotto “fotocamera”, alle quasi infinite possibilità di ritocco on camera, non hanno però modificato il senso della fotografia che era, è e sarà sempre il modo di raccontare con immagini la realtà già esistente.

Ma al di là di tutto e di ciò che la fotografia può suscitare (essendo una forma d’arte, sta

a colui che ne fruisce, in questo caso chi vede la fotografia, a stabilirlo soggettivamente), è determinante che chi fotografa, a prescindere dallo strumento utilizzato, abbia ben chiaro cosa voglia comunicare. Fare cento scatti pensando di cogliere il momento che si vuole immortalare è molto diverso che farne uno solo esattamente a quel momento che si vuole fermare per sempre. Per questo, per fare una fotografia non basta avere una fotocamera: lo strumento non sostituisce il cuore, l’anima, il progetto del fotografo.

Non sostituisce, in sostanza, il fotografo, ma semplicemente lo aiuta a comunicare al mondo la sua personale visione della realtà.

E non importa che il foglio di carta su cui si scrive sia un supporto elettronico o analogico o che la penna sia una reflex digitale o una compatta a pellicola. Ciò che conta è che la fotografia, dai tempi di Daguerre ad oggi, citando il maestro Maurizio Rebuzzini,  altro non è che il mezzo attraverso cui “la natura si fa di sé medesima pittrice”.

Tutto cambia, per restare sempre uguale.

  • Dalla preistoria al 1839

 

La parola fotografia deriva dal greco: è composta da φῶς (phôs) luce, e γραφή (graphè) scrittura o disegno: quindi, scrittura eseguita con la luce.

Una sintesi efficace che riassume una procedura complessa e affascinante, in passato ritenuta da alcuni addirittura “magica”.

Oggi, la “penna” con cui viene effettuata la scrittura con la luce è la macchina fotografica.

Dalla preistoria l’uomo non si è accontentato di immagini “latenti” ma ha cercato di renderle permanenti anche per condividerle con altri. (Grotta delle mani, Cavallo rovesciato nella caverna, Ombra).

Riprendere figure statiche o in movimento (persone, animali, piante, oggetti, paesaggi, opere d’arte, fatti, avvenimenti, manifestazioni della realtà e della vita: la vita nel proprio divenire, in sostanza) è sempre stata una esigenza dell’essere umano.

La fotografia non è un fine ma un mezzo che soddisfa l’esigenza dell’uomo di fermare un’immagine vissuta (una figura umana, un

Storia della fotografia

(Riassunto  da  un  lavoro di Andrea Morelli)

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