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Inoltre nella capitale portò a termine la propria formazione oratoria studiando eloquenza alla scuola di Epidio, un maestro importante di quell’epoca. Lo studio dell’eloquenza doveva fare di lui un avvocato ed aprirgli la via per la conquista delle varie cariche politiche. L’oratoria di Epidio non era certo congeniale alla natura del mite Virgilio, riservato e timido, e dunque quantomai inadatto a parlare in pubblico. Infatti, nella sua prima causa come avvocato non riuscì nemmeno a parlare. In seguito a ciò Virgilio entrò in una crisi esistenziale che lo portò, non ancora trentenne, a spostarsi dopo il 42 a.C. a Napoli, per recarsi alla scuola dei filosofi Filodemo e Sirone per apprendere i precetti di Epicuro.

Gli anni in cui Virgilio si trova a vivere sono anni di grandi sconvolgimenti a causa delle guerre civili: prima lo scontro tra Cesare e Pompeo, culminato con la sconfitta di quest’ultimo a Farsalo (48 a.C.), poi l’uccisione di Cesare (44 a.C.) in una congiura, e lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio da una parte e i cesaricidi (Bruto e Cassio) dall’altra, culminato con la battaglia di Filippi (42 a.C.). Egli fu toccato direttamente da queste tragedie: infatti la distribuzione delle terre ai veterani dopo la battaglia di Filippi mise in grave pericolo le sue proprietà nel Mantovano  ma sembra che, grazie all'intercessione di personaggi influenti (Pollione, Varo, Gallo, Alfeno e lo stesso Augusto), Virgilio sia riuscito (almeno in un primo tempo) ad evitare la confisca. Si spostò poi a Napoli.

Dopo il successo delle Bucoliche, venne in contatto con Mecenate ed entrò a far parte del suo circolo, che raccoglieva molti letterati famosi dell’epoca. Il vate frequentava le tenute terriere di Mecenate, che egli possedeva in Campania nei pressi di Atella ed in Sicilia. Attraverso Mecenate, Virgilio  conobbe Augusto e collaborò alla diffusione della sua ideologia politica. Divenne il maggiore poeta di Roma e dell’impero.

Morì a Brindisi il 21 settembre del 19 a.C. (calendario giuliano), di ritorno da un viaggio in Grecia, secondo i biografi per le conseguenze di un colpo di sole. Prima di morire, Virgilio raccomandò ai suoi compagni di studio Plozio Tucca e Vario Rufo di distruggere il manoscritto dell’Eneide, perché, per quanto l'avesse terminata, non aveva fatto in tempo a rivederla. Ma i due consegnarono i manoscritti all’imperatore, e l'Eneide, anche se reca tuttora evidenti tracce di incompiutezza, divenne in breve il poema nazionale romano.

i resti del grande poeta furono poi trasportati a Napoli, dove sono custoditi in un tumulo tuttora visibile, sulla collina di Posillipo. Purtroppo l’urna che conteneva i suoi resti andò dispersa nel Medioevo. Sulla tomba fu posto il celebre epitaffio: Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces; ovvero: "Mi generò Mantova, la Calabria (il Salento) mi rapì: ora mi custodisce Partenope (Napoli); cantai i pascoli (le Bucoliche), i campi (le Georgiche), i condottieri (l’Eneide)".

 

Un primo gruppo di opere (noto dal Cinquecento come Appendix Vergiliana) sarebbe stato composto tra il 44 a.C. ed il 38 a.C., tra Roma e Napoli, ma buona parte della critica moderna tende ad escludere la paternità virgiliana:

- Alla spicciolata (Catalepton);

- La focaccia (Moretum);

- Canti a Priapo (Priapea);

- Epigrammi (Epigrammata): che comprendono le Rose (Rosae), Sì e no (Est et non), Uomo buono (Vir bonus), Elegiae in Maecenatis               obitu, Hortulus, Il vino e Venere (De vino et Venere), Il livore (De livore), Il canto delle Sirene (De cantu Sirenarum), Il compleanno (De die       natali), La fortuna (De fortuna), Orfeo (De Orpheo), Su sé stesso (De se ipso), Le età degli animali (De aetatibus animalium), Il gioco (De         ludo), De Musarum inventis, Lo specchio (De speculo), Mira Vergilii experientia, Le quattro stagioni (De quattuor temporibus anni), La             nascita del sole (De ortu solis), Le fatiche di Ercole (De Herculis laboribus), La lettera Y (De littera Y), ed I segni celesti (De signis                   caelestibus).

- L'ostessa (Copa) (solo secondo il biografo Servio);

- Maledizioni (Dirae);

- L'airone (Ciris);

- La zanzara (Culex);

- L'Etna (Aetna);

- Storia romana (Res romanae), opera solo progettata e poi abbandonata.

 

Opere successive:

Bucoliche (Bucolica): composte tra il 42 e il 39 a.C. a Napoli, sono una raccolta di dieci componimenti detti "egloghe" di stile perlopiù bucolico e che seguono il modello del poeta siciliano Teocrito. Le Bucoliche, che significa canti dei bovari, sono dunque costituite da dieci egloghe: la prima è un dialogo tra due contadini, Titiro e Melibeo. Melibeo è costretto ad abbandonare la sua casa ed i campi, che diverranno la ricompensa di un soldato romano. Titiro invece può restare grazie all'influenza di un potente (forse Ottaviano, o un nobile della sua cerchia, come Asinio Pollione); la seconda egloga contiene il lamento d'amore del pastore Coridone, che si strugge per il giovane Alessi; la terza egloga è una tenzone poetica fra due pastori, svolta in canti alternati detti amebèi; la quarta egloga è dedicata a Pollione ed è la celebre profezia circa la nascita di un puer il cui avvento rigenererà l'umanità; la quinta è il lamento per la morte di Dafni, il "principe dei pastori" (Elio Donato); nella sesta il vecchio Sileno canta l'origine del mondo; nella settima Melibeo racconta la gara di canto tra due pastori; l'ottava egloga contiene due canti d'amore ed è dedicata ad Asinio  Pollione; la nona egloga è molto simile alla prima, ma vi si canta un esproprio di terre definitivo (i due protagonisti sono Lìcida e Meri) e la decima è dedicata a Gallo e ne celebra gli amori infelici. Varo, Gallo e Pollione furono tre potenti governatori della provincia Cisalpina presso cui il poeta aveva forse sperato di trovare favore per rientrare in possesso delle proprie terre perdute durante l’esproprio.

Georgiche (Cornelio Gallo ma, caduto questi in disgrazia presso Augusto, Virgilio avrebbe concluso l’opera in modo diverso. L’opera fu dedicata a Mecenate. Si tratta sicuramente di uno dei più grandi capolavori della letteratura latina e l’espressione più alta dell’autentica e vera poesia virgiliana. I modelli qui seguiti sono Esiodo e Varrone.

Eneide (Aeneis): poema epico composto forse fra Napoli e Roma, in dieci anni (tra il 29 a.C. ed il 19 a.C.) e suddiviso in dodici libri. Opera monumentale, considerata dai contemporanei alla stregua di un’Iliade latina, fu fficiale sacro all’ideologia del regime di Augusto sancendo l’origine e la natura divina del poere imperiale. Naturalmente il modello fu Omero. Essa narra la storia di Enea, esule da Ilio e fondatore della divina gens Iulia. Il poema rimase privo di revisione, e nonostante Virgilio prima di partire per l’Oriente ne avesse chiesto la distruzione e ne avesse vietato la diffusione in caso di sua morte, esso fu pubblicato per volere dell’imperatore.  Nel XV secolo il poeta Maffeo Vegio  compose in esametri il Supplementum Aeneidos, cioè il tredicesimo libro a completare il poema virgiliano.

Georgicon): composte a Napoli in sette anni (tra il 37 a.C. ed il 30 a.C.) e suddivise in quattro libri. È un poema didascalico sul lavoro dei campi, sull’arboricoltura (in particolare della vite e dell’olivo), sull’allevamento e sull'apicoltura come metafora di un’ideale società umana.[9] Ciascun libro presenta una digressione: il primo le guerre civii, il secondo la lode della vita agreste, il terzo la peste degli animali nel Norico, il quarto libro si conclude con la storia di Aristeo e delle sue api  (questa digressione contiene la famosa favola di Orfeo e Euridice) . Secondo il grammatico tardoantico Servio, nella prima stesura delle Georgiche, la conclusione del IV libro era dedicata a

Durante l’Alto Medioevo Virgilio fu letto con ammirazione, il che permise alle sue opere di essere tramandate completamente. L’interpretazione dell’opera virgiliana utilizzò largamente lo strumento dell’allegoria: al poeta fu infatti attribuito un ruolo di profeta di Cristo, basandosi su un brano  delle  Bucoliche (la IV ecloga) annunciante la venuta di un bambino che avrebbe riportato l'età dell'oro e identificato r questo con Gesù.

Virgilio venne quindi rappresentato come vate, maestro e profeta nella Divina  Commedia (Purgatorio,  canto XXII, vv. 67-72) da Dante Alighieri, il quale ne fece la propria guida attraverso i gironi dell'Inferno e del Purgatorio.

«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m' ha fatto cercar lo tuo volume.»

(Inferno, Canto I, 81-83)

La presenza di Virgilio è costante nello svolgimento della letteratura italiana. L'eco della sua poesia risuona sovente nelle opere dei nostri più grandi scrittori.

Per Dante, l'Eneide diviene modello di alta poesia, fonte di ispirazione di tanti suoi versi. È vero, egli avverte il fascino anche di altri grandi autori del passato, di "Omero, poeta sovrano" di " Orazio satiro", "Ovidio", "Lucano", e poi "Tullio e Lino e Seneca morale" (Inferno, 4, 102 e passim), ma è Virgilio la sua guida, Virgilio "l'altissimo poeta" (ibid.,80). Dante riconosce la grandezza morale, il peso del pensiero antico e nella sua opera fa confluire insieme i valori dell'umanesimo classico e quelli cristiani. Si può considerare pertanto il primo umanista della nostra letteratura: un discepolo di Virgilio, al di là del pensiero medievale. Dalla lettura delle sue opere apprese il senso di partecipazione al dolore universale, la pietas, intesa quest'ultima nel senso morale di adesione al cielo sì, ma anche di attenzione ai valori della terra. Egli si accosta al mantovano non solo per capire "come l'uom s'eterna", ma anche per perfezionare lingua e stile.

Con diversa e più moderna sensibilità si avvicina a Virgilio un cultore degli studia humanitatis come Francesco Petrarca. Il dolore umano alla scuola del poeta antico trova innumerevoli rivoli per elevarsi in una poesia soavemente malinconica. Da lui deriva l'amore per le belle lettere, la nobiltà dei sentimenti e del pensiero, da lui l'arte della perfezione stilistica. La lingua italiana diviene, come vuole de Sanctis, "la dolcissima delle lingue". Intuisce e tramanda ai posteri i più alti segreti della poesia del mantovano. Virgiliano nell'anima, vive a lui unito nello spirito, gli dedica epistole. Petrarca venne salutato come il nuovo Virgilio, modello di poeta, elegante, raffinato: si colloca tra i più grandi lirici di tutti i tempi.

Nell'Umanesimo è ancora Virgilio, unitamente a Cicerone, l'autore più amato, più ricercato come guida di maestria linguistica. Con il ritorno al mondo classico nasce la nuova civiltà in cui confluisce l'antica e, nel contempo, una nuova visione della vita e del mondo.

«Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua rura duces»

«Mi ha generato Mantova, il Salento mi ha strappato alla vita, ora Napoli conserva i miei resti; ho cantato pascoli, campi, eroi»

 

Virgilio nacque il 15 ottobre del 70 a.C. vicino a Mantova, e precisamente nel villaggio di Andes, località identificata dal XIII secolo con il borgo di Pietole; in tal senso si esprime Dante nella Divina Commedia  (Purgatorio, 18,83). Altri studi sostengono invece che l'effettivo luogo di nascita sia nella zona di Castel Goffredo. Anche Calvisano intende ritenersi la patria di Virgilio.

Il padre era un piccolo proprietario terriero arricchitosi tramite l’apicoltura, l’allevamento e l’artigianato, mentre la madre, di nome Magia Polla, era la figlia di un facoltoso mercante, Magio, al cui servizio aveva lavorato il padre del poeta. Virgilio studiò prima a Cremona, poi a Milano, ed infine a Roma lettere greche e latine ma anche diritto. Qui conobbe molti poeti e uomini di cultura e si dedicò alla composizione delle sue opere. 

Publio Virgilio Marone

(15/10/70 a.C.- 21/9/19 a.C.)

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