Orazio (65-8) viene dalla provincia lucana da padre liberto e che aveva raggiunto un certo benessere, tanto da poterlo far studiare, e poi mandato ad Atene ad affinare la sua cultura; qui incontrò Bruto fuggitivo da Roma, ne fu attratto e lo seguì fino alla disfatta di Filippi. Dopo un periodo tragico e difficile, tornato a Roma si fece apprezzare come poeta da Virgilio e Varo che lo presentarono a Mecenate: nacque una grande amicizia fra i due, e al beneficio inestimabile di essere sottratto alla preoccupazione del pane quotidiano Mecenate ebbe il dono e la dedica della quasi intera produzione poetica di Orazio, tanto che, morti a distanza di qualche mese, furono sepolti uno accanto all’altro sull’Esquilino. Ottiene grande apprezzamento da Augusto, che lo richiede come segretario personale, ma lui fa una temeraria recusatio spiegando così nelle Epistole “Dal momento che tu, da solo, sostieni tanti e così grandi impegni, proteggi l’Italia con le armi, la adorni di buoni costumi, la migliori con le leggi, peccherei contro il pubblico bene, o Cesare, se con un lungo discorso ti facessi perdere tempo. Né preferirei comporre satire che vanno terra terra, piuttosto che cantare le tue imprese e parlare della terra, dei luoghi e dei fiumi e delle rocche poste sui monti e dei regni barbari e delle guerre portate aa termine in tutto il mondo sotto il tuo segno e delle porte che tengono chiuso Giano custode della pace e di Roma temuta dai Parti mentre tu ne sei il capo, se quanto desidero lo potessi anche. Ma né la tua maestà ammette un canto modesto, né il mio pudore osa tentare un’impresa che le mie forze rifiutano”.
Pure Virgilio (70-19) nasce in provincia (Mantova) quindi in campagna dove il suo cuore rimane sempre, e perciò non gli è difficile, nelle Bucoliche parlare della terra. E come possiamo collegare Virgilio alla politica augustea dopo l’Ara Pacis? Le campagne, a causa di guerre continue, erano desolate, abbandonate “Non c’è per l’aratro nessun meritato onore, sono squallidi i campi una volta portati via i coloni e le falci ricurve son di nuovo forgiate per diventare spada diritta” (Georgiche). Ma è soprattutto con l’Eneide che mitizza la nascita di Roma facendola risalire nel tempo: Augusto discendente di Ascanio (Iulo) figlio di Enea, e facendo un parallelismo tra l’antica età dell’oro dell’uomo quando regnava Saturno e l’attuale momento di rinascita, di un periodo di pace e benessere, di ritorno ai campi come in un paradiso terrestre, di costumi morigerati, e tutto questo si doveva alla pax augustea!
“Ora volgi qui i due occhi, guarda questa gente e i tuoi Romani. Questi è Cesare e tutta la stirpe di Iulo, destinata a venire sotto la grande volta del cielo. E questo, questo è l’eroe, che assai spesso senti che ti è promesso, Cesare Augusto, stirpe del divo Cesare, che stabilirà di nuovo l’età dell’oro per il Lazio nei campi sui quali un tempo regnò Saturno.” (Eneide)
Comunque Virgilio non rinuncia a ricordare a Roma la grandezza cui è stata destinata: “Altri forgeranno con più morbidezza figure di bronzo che acquistano vita (lo ammetto pure)¸trarranno dal marmo volti vivi, peroreranno meglio le cause e meglio disegneranno con la bacchetta le orbite celesti e prediranno il sorgere degli astri: tu, o Romano, ricorda di governare i popoli con il tuo comando (queste saranno le tue arti) e di imporre norme di pace, di trattare con mitezza i sottomessi e sconfiggere i superbi.” (Eneide)
Ancora oggi con il nome di mecenate indichiamo una persona munifica, protettore delle arti.
LA POLITICA CULTURALE DI AUGUSTO
14-2014 : bimillenario della morte di Augusto
Adottato da Giulio Cesare (101-44) e portato con sé in Spagna per combattere contro i figli di Pompeo, Augusto (63 a.C.-14 d.C.) fu poi mandato in Illiria ad Apollonia dove incontrò e fece amicizia con due persone che saranno basilari nella vita e nell’ascesa al potere.
Ed era qui ad Apollonia quando Giulio Cesare. fu ucciso (idi di marzo); la madre Azia gli fece sapere della morte di Cesare, raccomandandosi di non precipitarsi a tornare, di stare tranquillo e lontano dai pericoli: tanto poco raccomandabile era l’aria di Roma in quel momento!
Lui invece torna in Italia, ma non a Roma; va a far visita a Cicerone (106-43) nella sua villa di campagna: vedremo in seguito l’importanza politica di questo suo passo!
Rientra poi a Roma, ed è presente in senato quando viene letto il testamento di Cesare: e apprende così di essere stato adottato da Cesare (cosa che lui non sapeva!).
Questo fatto lo pone in una posizione di assoluta preminenza nella scalata al potere: oltre ad ereditare il “trianomina” Caio Giulio Cesare ereditava anche l’appellativo di Ottaviano, nonché tre quarti del patrimonio di Cesare, ma soprattutto il “patrimonio” politico e quell’ambizione intelligente, tagliente e calcolatore in Cesare (meglio il primo in uno sperduto paesello che il secondo a Roma) ma in Augusto razionale e non esibita!
La situazione politica di Roma, in quei giorni, era confusa, incerta; Bruto e Cassio si erano illusi di avere l’appoggio della popolazione e del senato, e furono costretti a fuggire. Cicerone, anticesariano e deluso che l’atto dei congiurati non avesse sortito l’effetto di rinforzare il senato, li bolla di “animo virili, consilia puerili” cioè di grande coraggio ma di poca intelligenza politica.
Si può schematizzare dunque che per la conquista del potere ci fossero due fazioni: cesariani (e Antonio, console nel 44, scaltro e disinvolto, si considerava l’erede politico di Cesare, dopo esserne stato luogotenente in Gallia); e anticesariani.
In questo schema Augusto non rientrava, era considerato “puer” , fanciullo (del resto non aveva che 19 anni); ma l’esperienza a fianco di Cesare e soprattutto il suo innato acume politico gli permettevano di far credere agli altri proprio quello che lui voleva: di essere ancora puer e dunque al di fuori dei giochi di potere.
Per togliere di mezzo gli antagonisti (leggi Antonio) si accostò al senato tramite Cicerone che lo presentò ai senatori e garantì che in lui vedeva un difensore delle prerogative senatoriali (mai profezia si rivelò più errata!).
Dunque il Senato, e Augusto, contro Antonio, che fu costretto ad allontanarsi da Roma; il senato armò due legioni al comando dei consoli Gaio Vibio Pansa e Aulo Irzio; un’altra legione la raccolse Augusto per conto suo ma che il senato riconobbe regolare, per muovere contro Antonio. A Modena la battaglia fu vinta dall’esercito “senatoriale” ma vi perirono i due consoli, e Augusto ebbe l’opportunità di tornare a Roma come il vincitore, e riconosciuto dal Senato come il salvatore della Repubblica.
Ottenuto lo scopo di ridimensionare Antonio, a questo punto Augusto si riavvicinò a lui e, con Lepido formò il Secondo Triumvirato che fu legittimamente riconosciuto dal Senato.
E con il potere nelle loro mani, per prima cosa vollero punire i congiurati di Cesare che nella battaglia di Filippi, sconfitti, si suicidarono.
Per esercitare il potere senza intralciarsi Antonio e Augusto si spartirono l’impero romano: ad Antonio le province orientali, ad Augusto quelle occidentali; e Lepido (insignificante) fu accontentato con il nordafrica.
Tutti e due ambiziosi, l’accordo non poteva durare; oltretutto Antonio era politicamente imprudente: unitosi con Cleopatra, cominciava a governare come un satrapo orientale, e questo il senato non poteva permetterlo!
Con la battaglia di Azio la flotta di Augusto, comandata da Agrippa (ricordate ad Apollonia l’amicizia con Augusto?) genio militare di sconfisse quella di Antonio e Cleopatra che, fuggiti in Egitto, si suicidarono. Era l’anno 31 a.C. e ormai i tempi erano maturi per una cambio istituzionale: il tramonto della repubblica romana e la nascita di un nuovo principato. Alcuni decenni dopo Tacito, notoriamente non tenero con gli imperatori, ebbe a dire che “fu nell’interesse della pace che tutto il potere fosse nelle mani di uno solo”.
E qui Augusto manifesta la sua grande intelligenza politica nel servirsi degli avvenimenti che si succedevano e nel saper scegliere gli uomini giusti e validi per il suo scopo.
Perciò ricordandosi che Cesare fu ucciso perché voleva comandare al di sopra del Senato, Augusto lascia credere al senato che governeranno insieme come una diarchia, e reclama per sé il diritto di avere la prima parola (aveva così il potere di “indirizzare” le discussioni), e il diritto di veto: dunque il Senato c’era ma non aveva praticamente nessun potere! Accetta l’onore che gli fa il senato tributandogli il titolo di “princeps” (primus inter pares): cioè persona autorevole, importante, ma non principe (almeno per ora).
E’ il momento, per Augusto, di fare un gesto di grande intelligenza e acume politico: fa chiudere le porte del tempio di Giano! Nell’ambito della sua riforma politica Augusto proclamò la volontà di volgere tutti suoi sforzi affinché tutti i cittadini del suo regno vivessero in un clima tranquillo e sereno: questa fase prende il nome di Pax Romana.
Fu proprio a questa pace che durante l’anno 9 a.C. lo stesso imperatore Augusto dedicò un altare, l’Ara Pacis Augustae.
Altra decisione importante per la Roma di allora: “sigillare” i confini (limes) e quindi non più espansionismo, ma stabilizzare, gestire l’impero: e questo anche dopo la grave sconfitta subita da Varo in Germania, così da stabilire il Reno come confine.
Ad oriente i romani hanno ancora una ferita aperta: la sconfitta di Crasso ad opera dei Parti nel 53 a.C. con la perdita delle loro insegne, le aquile romane! Ebbene Augusto, senza guerre, intavola una trattativa con i Parti e riesce a riportare a Roma le insegne, orgoglio di Roma.
Dunque Augusto, con la sua “politica estera” aveva consolidato i confini; e questa situazione, in quattro secoli, sarà trasgredita solo due volte: con la conquista della Britannia da parte di Diocleziano; e della Dacia (oggi Romania) da parte di Traiano.
Per realizzare la sua politica Augusto aveva bisogno di validi collaboratori, e li avrebbe trovati in due persone con le quali già si era incontrato, ed erano anche grandi amici suoi: Agrippa e Mecenate (68-8) (ricordate Apollonia?).
Ad Agrippa da anche in sposa la figlia Giulia (che però a causa dei suoi comportamenti sarà allontanata), Augusto in lui vede un talento militare che in quel campo gli da assoluta tranquillità. Ma Agrippa era più di un militare, era appassionato e competente anche di urbanistica cosa che affascinava Augusto e se ne servi per ricostruire, quasi, la Roma imperiale: la qual cosa fece dire ad Augusto in punto di morte di aver trovato Roma di mattoni e di lasciarla di marmo.
Per completare la sua politica Augusto doveva avventurarsi su un campo decisamente ostico per la società romana, quello culturale: i romani erano di provenienza contadina e militare, per essi la cultura, l’arte, la filosofia, la poesia non suscitava interesse, riferisce Catone che “l’arte non era apprezzata. Se qualcuno ci si dedicava…era chiamato vagabondo”. (Moralia), di conseguenza faceva notare Cicerone “quanto meno erano apprezzati i poeti, tanto minori furono gli impegni nella poesia” (Tuscolane).
Il cittadino romano concepiva solo il negotium inteso come impegno sociale, pubblico, politico; era etichettato come otium chi non seguiva la prima strada: e la distinzione era talmente netta che chi, per vari motivi, non poteva dedicarsi al negotium, doveva giustificarsi! Per esempio Cicerone, Tacito hanno scritto addirittura un libro per giustificare la propria assenza dalla vita pubblica, dalla vita sociale.
Infatti a dimostrazione che la cultura non era fra i pensieri dei romani (non era negotium) i primi scrittori non erano romani, ma o venivano dalla provincia come Seneca, Marziale dalla Spagna , Apuleio dalla Numidia (più o meno l’attuale Marocco) o erano schiavi poi liberti, liberati: Livio Andronico, schiavo greco che il padrone gli aveva reso la libertà e di cui aveva preso il nomen Livius: è stato il primo a tradurre l’Odissea per i romani.
Una nota di riflessione: pensiamo un po’ che finora l’unico grande scrittore nato a Roma è Giulio Cesare! (Gallia est omnis divisa in partes tres…).
Questa era la situazione quando Augusto decide di cambiarla; chi si occupa di cultura: scrittori, poeti, letterati non dovranno più sentirsi ai margini della vita sociale, non dovranno più giustificarsi, ma possono essere orgogliosi e fieri di questo loro percorso; e Catullo arriva addirittura ad ostentare distacco dall’attività politica, sociale : “non mi preoccupo troppo, o Cesare, di volerti riuscir gradito, né di sapere sei uomo bianco o nero” !
E dunque Augusto individua in Mecenate (e Messalla) la persona giusta per i suoi fini: unire (oggi si direbbe asservire) la cultura e la politica. Ancora una volta il suo intuito, il suo acume politico non si sbaglia: nasce quello che oggi sarebbe il Ministro della cultura (di regime!).
Discendente da una antica famiglia etrusca e letterato anche lui, Mecenate forma quello che oggi si direbbe un Circolo letterario, ritrovo di intellettuali, scrittori, poeti, filosofi: non chiede loro un atteggiamento adulatorio verso il princeps né l'abbassamento ad un'arte mercenaria, bensì una letteratura pervasa di spirito patriottico, esaltante la grandezza di Roma e del nuovo assetto politico, e per questo li solleva da ogni preoccupazione del vivere quotidiano. Ne fecero parte nomi illustri Orazio, Virgilio, Ovidio, Properzio, Tibullo, Vario Rufo Lucio…